La ‘salvezza’ dagli dèi inattivi? Sul frammento del Sugli dèi di Epicuro nel Sulla pietà di Filodemo - Seminario

FBK Aula Piccola

Fondazione Bruno Kessler - Polo delle Scienze Umane e sociali
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Quale che sia il proprio giudizio personale sul valore di verità delle credenze religiose, è difficile negare che molti grandi cambiamenti storici sono passati attraverso trasformazioni della mentalità o della pratica religiosa. Per sincerarsene è sufficiente pensare alla cosiddetta rivoluzione “assiale” (VIII-II sec. A.C.), al tramonto del paganesimo o alla Riforma protestante.

Senza dubbio, la concezione epicurea della neutralità e indifferenza degli dei è stata un’importante innovazione religiosa nell’antichità classica che ha incentivato l’assunzione di un atteggiamento razionale e disincantato verso la sfera del sacro. Significativamente, questa novità parla ancora alle orecchie degli uomini e delle donne del nostro tempo.

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La rinascita dell’epicureismo nel XVII secolo è generalmente considerata dagli storici delle idee come un fattore importante nello sviluppo del secolarismo moderno.
In effetti, Epicuro fu tacciato sin dall’antichità di empietà, per aver sostenuto che gli dèi esistono, ma non si occupano delle vicende umane. L’accusa si rivela però infondata, alla luce dei testi epicurei che ci sono pervenuti. Questi mostrano come Epicuro fosse in realtà convinto che gli dèi risultano lo stesso giovevoli per l’umanità, vanno venerati o pregati e costituiscono un «ideale vivente» di perfetta beatitudine, imitando il quale donne e uomini possono diventare felici. In altre parole, uno studio dei testi epicurei permette di sostenere che nel filosofo resta viva l’idea che Dio sia la causa principale di ‘salvezza’ del genere umano. Ciò è del resto esplicitamente confermato in parte da un frammento del Sugli dèi di Epicuro, conservato nel trattato Sulla pietà del suo discepolo Filodemo.

Ma che cos’è la ‘salvezza’ per Epicuro? E in che modo gli dèi possono essere causa del suo avverarsi, nonostante non si interessino degli esseri umani, o addirittura – come testimonia il libro I del De natura deorum di Cicerone – non facciano proprio nulla? È possibile rispondere a entrambe le domande ipotizzando che la ‘salvezza’ vada identificata nel raggiungimento della salute dell’anima, ossia nell’assenza di turbamento interiore, dove per Epicuro risiede il piacere puro che tutti i viventi inconsapevolmente ricercano, e che Dio la procuri attraverso un’influenza indiretta: l’emanazione di alcuni «effluvi» atomici, dalla cui ricezione gli esseri umani ricavano benessere psichico e un avanzamento nella conoscenza della natura divina.

Date queste premesse, si può sostenere che la teologia di Epicuro non sia un’espressione di ateismo, né sia del tutto incompatibile con il teismo. Infatti, essa offre forse un modello intermedio tra l’uno e l’altro, vale a dire una concezione della divinità che ammette l’esistenza e l’importanza degli dèi per la vita umana, e tuttavia non si spinge fino a riconoscere la presenza nel cosmo di una divina provvidenza.

Esistono interessanti analogie tra questa visione della relazione tra la sfera umana e quella divina e alcune espressioni della spiritualità contemporanea. Ciò lascia supporre che la rilevanza dell’epicureismo per la cultura moderna non sia terminata con l’illuminismo.

Relatori

  • Enrico Piergiacomi - Speaker
    Enrico Piergiacomi è dottorando di ricerca in storia della filosofia antica, iscritto all’ultimo anno della Scuola di Dottorato in Studi Umanistici (XXVIII ciclo) dell’Università degli studi di Trento. Attualmente, lavora a una dissertazione sulle teologie degli atomisti antichi (Democrito, Epicuro, gli Epicurei), con la supervisione della prof.ssa Fulvia de Luise (Università di Trento) e del prof. Emidio Spinelli (Sapienza Università di Roma). I suoi ambiti di ricerca privilegiati riguardano la filosofia antica, il pensiero Presocratico, le scuole filosofiche ellenistiche.

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